Noi membri dell’associazione Il Borgo della Pace siamo qui oggi a Fragheto, come lo siamo tutti gli anni dal 2003, per commemorare l’eccidio di 30 vittime innocenti da parte dei nazifascisti, avvenuto il 7 aprile 1944: anziani, donne e bambini, il più piccolo di appena 40 giorni, appartenenti ad una piccola comunità di 14 famiglie contadine, a cui si aggiungono le 8 giovani vittime della fucilazione, ventenni sospettati di essere partigiani, avvenuta il giorno seguente al Ponte Otto Martiri, e i 64 abitanti della vicina località di Tavolicci, trucidate il 22 luglio dello stesso anno. Allo stesso tempo, oggi celebriamo la Liberazione dal nazifascismo, che ha richiesto all’Europa e al mondo un immane tributo di distruzione, sangue e violenze, tale da determinare la volontà politica dell’Italia postbellica e di tutta la comunità internazionale di opporre un fermo rifiuto alla guerra per le generazioni future: ciò è stato sancito con chiarezza dai nostri padri e madri costituenti, quando hanno scritto l’articolo 11 della nostra costituzione, così come dal consesso internazionale dell’Onu, nella stesura dell’articolo 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. A Fragheto, in questo borgo spopolato che ci offre una quiete ormai rara, nulla oggi appare più estraneo del frastuono delle armi, ma 80 anni fa qui è accaduto esattamente ciò che accade in ogni guerra, indipendentemente dalla scala del conflitto e dal numero di vittime: lo scatenarsi della ferocia e della crudeltà più insensate e incomprensibili per chi, come la maggior parte di noi, è nato e cresciuto in un’Italia e un’Europa figlie dell’espressa volontà di pace di chi quei tragici eventi li aveva vissuti sulla propria pelle. A Fragheto si è consumata la tragedia della guerra, di tutte le guerre: la frattura dolorosa e difficilmente ricomponibile della società civile. Da una parte, semplici civili inermi, famiglie modeste di contadini ai margini della politica e inconsapevoli degli svolgimenti della grande storia, di quanto deciso dai governi del mondo, se non negli effetti quotidiani e concreti che la seconda guerra mondiale aveva portato nelle loro case: la scarsità di cibo; la necessità di restare in silenzio, di sopportare gli abusi degli occupanti; il sacrificio delle poche risorse per sostenere i ribelli, a volte a malincuore, a volte convinti della giustezza della causa partigiana; l'imperativo di proteggere i giovani in età di leva dal servizio militare, nascondendoli nei boschi; la paura per la propria stessa sopravvivenza e per quella dei propri cari; la diffidenza e il rancore verso chi, fino a poco prima, era un vicino di casa più o meno benvoluto. Dall’altra parte, truppe scelte e ben armate, accecate dall’odio e dal fanatismo, rese spietate dalla paura del “nemico” colpevolmente instillata dai superiori e addestrate ad una guerra senza pietà; truppe naziste tedesche e fasciste italiane a cui è stato possibile dare un nome grazie alle ricerche storiche che sono partite da qui, dalla scuola elementare di Casteldelci, dall’Associazione Il Borgo della Pace e dalla tenacia di tutte le persone che, a partire dagli anni 2000, si sono fatte ricercatrici e testimoni di una memoria dolorosa e scomoda, per alcuni aspetti ancora controversa, ma non per questo opaca alla luce della verità. L’obiettivo della memoria, però, non può e non deve risolversi solo nel ricordo del passato e nel portare giustizia e chiarezza là dove per lungo tempo ci sono stati silenzio doloroso e rassegnazione all’impunità dei responsabili. La memoria deve essere animata dalla volontà di costruire giustizia e pace sempre e per tutti, con gli strumenti del negoziato e della diplomazia, e di ribadire con fermezza che la catastrofe della guerra non deve fare più parte del nostro orizzonte politico e culturale. La guerra non doveva più essere un’opzione percorribile dopo la Liberazione, e a maggior ragione non lo deve più essere oggi. Ognuno di noi, cittadini dell’Italia e dell’Europa che hanno potuto vivere nella sicurezza e nel benessere garantiti dalla pace, dovrebbe farsi carico di ricordarlo in tutte le forme e con tutti gli strumenti a disposizione ai leader mondiali, che oggi paiono giudicare inevitabile, se non addirittura auspicabile, l’estensione del conflitto russo-ucraino e di quello israelo-palestinese al mondo intero, con la miopia di chi giudica gli eventi ed effettua le scelte politiche offuscato da paure a volte legittime (il terrorismo, la crisi economica, la minaccia identitaria), ma più spesso da interessi illegittimi (la vendita di armi, la speculazione finanziaria nelle ricostruzioni, lo sfruttamento delle risorse); paure e interessi che, in ogni caso, non sarebbero mai risolvibili con le armi, pena oggi, nell’era delle armi atomiche, lo sterminio completo dell’umanità. Chi sostiene il contrario, come di recente hanno fatto il presidente francese Macron, quello del consiglio europeo Michel o quello polacco Tusk, dimostra un disprezzo cinico e stupido per la più elementare delle necessità umane, quella della stessa esistenza. Chi sostiene il contrario, come Israele guidato da Netanyahu, che ritiene giusto e legittimo, per combattere Hamas, spianare Gaza e uccidere migliaia di civili, distruggendo il precario riparo che un popolo prigioniero ed espropriato abita per obbligo da anni, dimostra una totale disumanità, oltre che l’incapacità di comprendere la più banale delle relazioni di causa-effetto: quella della violenza che genererà altra violenza per anni a venire. La camminata di oggi deve quindi essere una delle tante azioni che tutti siamo disposti a compiere per difendere una conquista preziosa e mai scontata, oggi più che mai in pericolo: la pace.
NOI SIAMO LA MEMORIA CHE ABBIAMO E LA RESPONSABILITA' CHE CI ASSUMIAMO